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Watch log, day thirtyfive. Flying away II

27 Oct 2008

JFK airport. È l'alba, e il primo raggio di sole, riflesso e moltiplicato dall'ordinata fila di aerei cromati dell'American Airlines, scintilla fastidioso attraverso le vetrate della futuristica terminal 8. Fra qualche ora, una di quelle saette luccicanti attraverserà il continente da un capo all'altro, e mi porterà a San Francisco. Dio, quanto mi piace l'ebbrezza del volo...

"Vai all'aeroporto qualche ora prima, i controlli di sicurezza sono severissimi e lunghissimi!!!", è stata la frase ripetutami all'unisono da tutti.
E, visto che il mio aspetto da spietato narcotrafficante colombiano (?) mi ha causato fin troppe volte speciali attenzioni da parte dei doganieri di ogni bandiera, mi sono presentato con oltre quattro ore di anticipo.

Per quanto riguarda i doganieri della TSA, devo riconoscere che l'attitudine da gorilla incute un certo qual timore reverenziale, che anche qui mi fa tremare un po' le mani.
A me le mani tremano sempre, quando passo le frontiere. Sono stato capace di farmi controllare al Gran San Bernardo passandoci con un amico doganiere che ci lavora, figurarsi da solo all'altro capo del mondo...
Oltretutto, al momento del checkin, sulla mia carta d'imbarco il computer ha stampato la temutissima sigla SSSS (very big fuckin' security, o qualcosa del genere...) che, a quanto pare, è stata la responsabile che mi deviassero in una fila a parte in fondo all'atrio, in compagnia di un boccoluto e sudato commerciante israeliano con scodella in testa e prole al seguito, ed un paio di tarchiati "arabi" ben vestiti, probabilmente rei di avere una carnagione troppo olivastra.
Qui, muniti di microfoni, visori da film di fantascienza e giubbottoni antiproiettile, un paio di armadi di mogano hanno perquisito ogni oggetto in mio possesso, strofinando cartine al tornasole nelle mie scarpe da ginnastica (temevo si fondesse...) e in ogni tasca dello zaino mentre mi radiografavano con le mani alzate.

Ciononostante, dal momento in cui sotto casa il taxi ha suonato il clacson a quando ho seduto il culo ad un tavolo dell'European Bakery, davanti alla porta d'imbarco, sono passati solo 50 minuti, checkin e controlli di sicurezza superati. Sarà che a quest'ora l'aeroporto è ancora quasi deserto, ma mi aspettavo di metterci decisamente molto di più.

"Cortesia e professionalità" c'è scritto su tutte le autopattuglie, e devo dire che in questo sono ineccepibili in ogni occasione, pure quando guardandoti di sbieco confabulano tra loro sottovoce facendoti credere che siccome sei brutto, talebano e lavori per il KGB molto probabilmente non lascerai mai vivo il controllo di sicurezza. A dir la verità, non capiscono nemmeno perché ti sia venuto in mente di provarci, e non te ne sia rimasto a casa.

Alessio, mi spiace: nonostante il timore che incutono, sono fiero d'esser stato capace di superare i controlli senza farmi analizzare con guanti bianchi, ma la foto sottobraccio col doganiere dai Rayban a specchio non riuscirò a portartela... ;)

Per quanto concerne il volo, devo riconoscere che American Airlines mi sta tremendamente sulle balle perché ha sostituito le gentili signorine del checkin con una fila di computers touch screen con bilancia, dai quali farsi tutto da soli, ed uno stronzissimo tipo che parla solo inglese e non ha tempo di spiegare niente a nessuno.
Però, ha le file di sedili spaziate di una buona decina di centimetri in più rispetto alle misure standard delle compagnie europee, persino più dell'intercontinentale Iberia, e per la prima volta in vita mia non solo le mie ginocchia non spingono nei reni del passaggero davanti, ma addirittura mi ritrovo a volare comodo!

Al momento di cambiare città ed abbandonare il negozio, mi ritrovo -volente o nolente- a trarre conclusioni sull'esperienza newyorkina.

Devo dire che in partenza non nutrivo eccessive speranze nell'Enigma, memore forse dei racconti dei predecessori che l'avevano trovato un po' povero di tecnica, e forse timoroso di ritrovarmi una volta di più ad essere io la star, accanto a colleghi un po' più pigri ai quali non interessa nemmeno ricevere spunti tecnici.
Per capirsi, la situazione per troppo tempo vissuta all'AndreaStudio prima dell'arrivo di Michel, dove la sfida tecnica non aveva mai trovato posto, prediligendo invece l'atteggiamento "cazzo me ne frega se il nome cinese è sbagliato, tanto non se ne accorgerà mai".

Ed invece, erano anni che non ricevevo una simile iniezione di tecnica.

L'unico confronto che posso fare è quello con il Lauro Tattoo, perché considero Giorgio -oltre che un amico meraviglioso- uno stimolo cerebrale non indifferente, capace di regalarmi ogni volta nuove idee e nuovi spunti per creare cose sempre nuove.

In questo caso, il confronto con un tatuatore del calibro di Pablo Barada mi ha iniettato piccoli spunti tecnici su aspetti che spesso avevo tralasciato, o temuto.
Tolti una serie di esperimenti con le macchine di Ottavio, qualche anno fa a Madrid, non mi ero più azzardato molto a tracciare con sicurezza con un liner a più di 7 aghi, soprattutto se non ero stato io a saldare gli aghi curando maniacalmente l'angolo di chiusura delle punte.

Nel momento in cui consideri eccellente un tatuatore, osservarne le mani mentre traccia l'outline di una peonia freehand con un 14 lasciando una linea nera, pastosa e morbida, senza stacchi, a dir poco perfetta, non può che stimolarti a sperimentare.

Di solito solo i rari pellegrinaggi allo studio di Filip, a Lausanne, hanno quest'effetto psicologicamente motivante.
E, in questo caso, è stato figo notare le stesse influenze anche nelle mani di qualcun altro.
Il mondo è decisamente piccolo, e anche se da oggi inizia la fetta di viaggio dedicata alla vacanza ed al riposo, una parte di me non vede l'ora di arrivare a Melbourne e conoscere la Di Mizio Family.

Sono proprio felice di quest'esperienza. Rispetto ad altri viaggi, stavolta qualcosa è cambiato.
Sto ripartendo per la California arricchito di un piccolo bagaglio tecnico aggiuntivo che non mi aspettavo e che, forse solo per questo, apprezzo particolarmente.