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Watch log, day fortyfour. Stay or go?

05 Nov 2008

Avete presente quei giochi (non so come altro chiamarli) della Chicco in cui i bambini di un anno iniziano a dare i primi passi nel mondo della coordinazione motoria? Pulsanti inutili, lucine casuali, trombette e volani, il cui unico scopo è quello di far rumore.
Perfetto, ora immaginate una plancia di comando del tempo, con tre pulsanti: sole, vento, pioggia.
Ed immaginate il vostro nipotino molesto che a colpi di orsacchiotto amministra il tempo su quest'isola...

Ogni 4 minuti uno dei tre fattori viene e/o va in maniera aleatoria, potendo piovere di sbieco sotto al sole mentre il vento ti butta a terra. E sotto alla giaccavento si suda, ma senza ci si inzuppa, ma se la apri il vento ti s'infila nella schiena sudata, e se la chiudi sudi di più, e mentre cammini di schiena il vento gira e s'intrufola lo stesso a tradimento, e tu bestemmi, e ricomincia a piovere.

Il vento arriva dopo aver attraversato 10.000 km di oceano, senza che nulla lo mitighi.

Sono 48 ore che ho mal di testa, mentre il morale cala e l'incazzo sale.

Oggi è il giorno di Guy Fawkes, che Wikipedia racconta essere un anarchico inglese reo di aver cospirato per far saltare in aria il parlamento, ed il cui anniversario viene festeggiato da 4 secoli a questa parte con i fuochi artificiali.

È tutt'il giorno che i bambini si esercitano, e dopo essermi alzato all'alba l'ultima cosa che stanotte desidero sentire è la loro cazzo di mitraglia...

La settimana a San Francisco avrebbe dovuto servire, tra le altre cose, a fare il giro di un paio di negozi per proporre una futura collaborazione per la prossima stagione.
In valigia ho un mazzo di copie del portfolio, e l'intenzione era quella di darle via tutte alla ricerca di uno studio dove imparare i segreti del moko maori.

Invece, a quanto pare, la sociofobia sta degenerando sempre più e mi ritrovo fuori dalla porta di negozi in cui so che sarei ben accetto senza trovare il coraggio di entrare, e finisco per andarmene odiando me stesso e le mie maledette fisime. L'unica cosa che mantiene a bada quest'ansia è camminare, camminare fino alla morte.

Quando oggi sono partito per l'ennesimo passeggiatone terapeutico, davanti alla lavanderia c'era un gruppo di persone che facevano festa sul marciapiede. Non so se l'idea fosse solo quella di finire gli avanzi di Halloween, o se stessero festeggiando Guy Fawkes. Tutti mascherati e travestiti, con un bicchiere in mano, coinvolgendo i passanti in un'atmosfera festosa di cui chiunque avrebbe goduto con gioia. Io ho fatto il giro dell'isolato per non sentirmi rivolgere la parola da qualcuno che non avrei capito, e la cosa mi inizia a molestare parecchio...

In questo viaggio, non è la solitudine che mi demoralizza.
Sono sempre stato un solitario, da quando i compagni di classe giocavano a pallone e io preferivo svaccarmi sotto ad un albero a leggere un libro.
La solitudine non mi ha mai pesato, ma quel che mi sta uccidendo è il non riuscire a capire la gente.

Non avendo mai studiato la lingua mi mancano le basi grammaticali per costruire le frasi, e sto saltando di città in città troppo in fretta, prima di aver dato all'orecchio il tempo di abituarsi alla pronuncia locale.

Siccome un pensiero tira l'altro, mi sono ricordato dell'invasione argentina a Madrid, nei tempi seguenti al cacerolazo del 2001.
La frase di quel periodo era: "l'affare del secolo è comprare un tatuatore argentino per quel che vale, e rivenderlo per quel che dice di valere".

Oggigiorno, mi ritrovo a pensare lo stesso di un sacco di persone, tatuanti e non.
Nei tempi del qualcosa-ink, Non conta saper fare bene le cose. Conta saper dire che le si sa fare.

Posso dare ragione ad Arci quando dice che la televisione aiuta una generazione a comprendere, accettare e smitizzare, dall'altra parte odio gli eserciti di teledipendenti schiavi della fama.

Se io sapessi parlare, tutte le donne me la darebbero e lavorerei il triplo.
Ma siccome non so parlare, mi ritrovo all'altro lato del globo a chiedermi cosa cazzo ci sono venuto a fare se poi sono incapace di relazionarmi con la gente.

Nel mondo di oggi, la parlantina è tutto. E non sapersi vendere a volte ti uccide.