We are few, but we speak with the power of many. We are strong like lonely bulls, but we are legion. Our code is gentle, but our justice is Certain - seeming Slow on some days, but slashing Fast on others, eating the necks of the Guilty like a gang of Dwarf Crocodiles in some lonely stretch of the Maputo River in the Transvaal, where the Guilty are free to run, but they can never hide. H.S.Thompson, "Kingdom of Fear"
Credo che in ogni pub del mondo ci sia un esemplare ricorrente. Al tavolo accanto al mio c'è il silenzioso, che osserva il mondo mentre finisce la seconda pinta senza dire una parola (è così diverso da me?). Appena oltre c'è il gruppo d amici che ridono, tranne quello che assomiglia a Jimmy Page: è inchiodato al maxischermo, dove una partita di rugby con sottotitoli in giapponese si alterna ai risultati della lega francese. Mi piace mimetizzarmici in silenzio: posso perdermi nella lettura di Hunter S. Thompson senza pormi il problema che qualcuno possa voler interagire con me.
Sono in crisi.
Fottutamente in crisi.
Non ho nessuna voglia di tornare a casa. Non ho voglia di atterrare a Malpensa e riascoltare le gracchianti voci dei vacanzieri italiani di ritorno da Sharm e delle famiglie in attesa.
Dopo un anno e mezzo di stenti, il mio orecchio disadattato ha finalmente iniziato a distinguere parole. Lavorando e pensando a tutt'altro, un paio d giorni fa ho improvvisamente realizzato che stavo capendo perfettamente la canzone dei Beatles in sottofondo, e che parola dopo parola una storia fino a quel momento indistinguibile si srotolava davanti a me.
Incredibile! Ho voglia di andare oltre, di continuare ad imparare, di rimettere in gioco il mio pigro cervello una volta tanto che una sfida mentale l'ha scrollato.
Questo è anno d mondiali, e di per sè basterebbe questo a tenermi lontano dall'europa.
Il becero nazionalismo di comodo che quatriennalmente permea gli italiani m'infastidisce sovrammodo, perché generalmente non apporta altro che squallidi luoghi comuni.
"i francesi qui" ed "i tedeschi là".
Non mi appartiene più di tanto, e purtroppo quest'estate più che mai si fonderà con l'ondata di nazionalismo xenofobo che in anni di crisi economica permea le società in cui siamo cresciuti.
Lavoro con uno spagnolo, un croato, un'irlandese, un paio di svizzeri e quattro australiani di differenti provenienze.
Nelle vene di Elodie scorrono differenti percentuali di sangue irlandese, tedesco, francese e scozzese, e c'interessano ben poco le categorizzazioni in base alla provenienza.
Io sono orgoglioso del mio sangue Perruchon, nulla più.
Dopo 6 mesi di Babele, il dover tornare in italia m'attrae poco e niente.
Gli americani sono ossessionati con la frase "love it or leave it".
Perfetta per giustificare l'essenza stessa della loro civilizzazione e rifiutare ogni critica esterna, ama il paese più bello del mondo o vattene, perché non accettiamo critiche.
Ecco, se per un momento tralasciassimo i vincoli affettivi nei confronti delle persone io brucerei il passaporto italiano. Senza pensarci su due volte.
Lo scorso weekend sono stato in New Zealand: 24 ore di toccata e fuga fuori dal paese, per rinnovare il visto e poter rimanere altri tre mesi in Australia.
Un volo d'andata con Aerolineas Argentinas, godendo di una cadenza che ricorda bei momenti e mi fa sentire la mancanza di New York, ed un volo di ritorno con Emirates, scoprendo la compagnia con cui volerò per il resto dei miei viaggi.
Una delle voci più musicali mai sentite: il pilota brasileño che parla spañolo salutando i passeggeri con un marcatissimo accento argentino, e si lascia scappare un "muito obrigado". Fantastico.
In ostello la stronza del letto accanto m'ha rubato tre dollari di spiccioli prima di partire all'alba, se solo mi ricordassi la sua faccia la vorrei reincontrare solo per chiamarla Squallida.
Un weekend massacrante, dopo il quale potrei spostare di quasi tre mesi la data del volo di rientro e godermi l'avanzo di visto provando a far finta di niente con le persone che aspettano per vari motivi il mio rientro.
Ma cercherò di non farlo...
Al pari dell'anno scorso, al momento della partenza ho calcolato la durata dell'assicurazione e ho scelto di far scadere le polizze il giorno dopo la data del volo di rientro: se non un vincolo, avrebbe perlomeno dovuto rappresentare un deterrente alla tentazione di rimanermene in giro per altri tre mesi.
A quanto pare non serve a molto: sarei dovuto rientrare domenica prossima, ma ho cambiato comunque di un paio di settimane la prenotazione del rientro.
La scusa è quella che non mi posso perdere il concerto dei Massive Attack all'Opera House e quindi partirò il giorno dopo, ma non rimarrò tre mesi in più.
Sento l'impulso di un viaggio senza ritorno, perché sotto molti aspetti questo luogo mi appartiene più dei monti in cui sono cresciuto.
L'agenzia delle entrate sostiene che la mia residenza legale sia in via Mont Gelé, ma mi torna in mente El Extranjero, la canzone di Enrique Bunbury:
Pero allá dónde voy me llaman el extranjero
donde quiera que estoy el extranjero me siento...
Amo i pub in cui poter essere il signor nessuno, in cui godermi la pinta di Guinness senza la fretta portata da una sociofobia che fin troppo spesso rovina l'esperienza.