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Watch log, loose days: New York City '09

15 Oct 2009

Le idee sono poche e confuse, in un costante altalenare tra ottimismo e rassegnazione che mi porta a lasciar scivolare via i giorni e osservare gli eventi più da spettatore che da protagonista.

Mai come quest'anno la partenza è stata caratterizzata da una frenetica mancanza di tempo: troppi gli impegni da concludere, troppo poche le ore di sonno, la valigia preparata in zona Cesarini la notte anteriore al volo e il neurone disperatamente intento a fare l'appello per non tralasciare nulla d'importante.

Ma pare che nonostante il poco tempo dedicato alla logistica, a parte la mia maglietta preferita e il lucchetto della valigia quest'anno non abbia dimenticato nulla.
Kit di pronto soccorso, assortimento vario di usb, prese, cavi e trasformatori, colori matite e pennarelli di ogni genere che quest'anno non dovrò ricomprare per l'ennesima volta. Qualche libro e due dvd pieni dei film che per mesi ho scaricato e non ho mai avuto tempo di guardare.

E nuovamente mi ritrovo all'aeroporto, in apnea nello stress pre-partenza, potendo finalmente tirar su la testa e respirare a pieni polmoni ma assolutamente incapace di frenare quel vortice di pensieri che l'esperienza mi dice si spegnerà da sè assieme al jetlag, fra più o meno una settimana.

Il paio di telefonate di rito per salutare, e finalmente la spinta dei motori di coda del Canadair mi stacca da terra anche l'animo, in un mix di felicità e leggerezza nello stomaco che solo i decolli sanno regalare.

Sul volo Iberia da Madrid mi ritrovo anche quest'anno una vicina puertoriqueña dalle chiappe immense e la logorrea sciolta, che al pari di quella dell'anno scorso fatica a lasciarmi in pace e mi tortura per delle ore coi racconti del suo viaggio a Pamplona e a Toledo.
Si dichiara stupita da quanto poco costi la birra in Europa e da quanto sia facile comprarla dovunque, e le stesse cose avevano colpito pure Elodie e sua figlia quando sono venute a trovarmi dall'Australia. Pare che gli europei si portino in giro per il mondo un'etichetta di alcolisti....

L'atterraggio è un tuffo cieco nella coltre di nubi nere, e mentre la carlinga geme osservo affascinato la flessibilità delle ali che sbattono violentemente nella tormenta e comprimono l'aria fino a liquefarla in un sottile filo dal bordo dei winglet.
Quest'anno m'ero scelto il sedile perfetto per fotografare la vista di Manhattan al tramonto, ma il muro di pioggia e il pilota che ha imboccato un corridoio aereo diverso hanno fatto sprecare anche quest'occasione.

In compenso, alla faccia della tanto decantata severità dei border officers americani, esattamente come l'anno scorso le formalità doganali si riducono a un cenno della testa e in pochissimi minuti sono fuori, annusando la pioggia nella coda per il taxi.

Cappellino degli Yankees, sguardo da segaiolo e fisico da hamburger, il taxista è il perfetto archetipo dell'americano. Una scoreggia silenziosa e micidiale ogni due minuti, fa finta di niente e sul mio sedile io abbasso il finestrino anche per scampare la micidiale aria condizionata che ammazzerebbe un pinguino.

Quando scendo e gli pago la corsa, il cellulare mi scivola dalla tasca e me ne accorgo solo quando dopo mezzora me ne sto andando a casa felice. Sarà la punizione del destino per averlo chiamato pippaiolo?
Torno in negozio, Joe presenta per me la denuncia di smarrimento al 311 dove dicono che si faranno vivi via email, e anche se mi dicono di non preoccuparmi la mia mente entra in un tunnel per il timore che chiunque l'abbia raccolto lo possa star usando per chiamare qualche parente in Bangladesh.

Pur essendo andato a dormire quanto più tardi possibile, alle 3:40 spalanco gli occhi e alle 4 decido di approfittarne per fare un po' di pulizie.
La casa non è fortunatamente lo stesso porcilaio che avevo trovato l'anno scorso, ma 4 uomini sposati che lavorano 12 ore al giorno in trasferta lontano dalle loro mogli difficilmente si prendono cura del posto in cui vivono. Soprattutto se sanno che di lì a un mese ripartiranno.
Forse anche per evitare di accendere il cervello e pensare al telefono perso, mi faccio un po' prendere la mano e quando a mezzogiorno esco la casa sembra uno specchio. Orgoglionissimo del lavoro fatto e pronto ad andarmi a mangiare il mondo, in negozio trovo la mia valigia, che Ups ha consegnato in 24 ore senza un graffio. Qualche viaggio al cinese dell'angolo a comprare le cosette che non valeva la pena spedire da casa, e tutto è praticamente pronto x iniziare.

Carlo dice che l'indomani s'inizia, anche se dopo il mese a ritmo serrato che ho vissuto per preparare il viaggio e dopo la bastonata fisica del volo mi sarebbe piaciuto godermi almeno 2 giorni liberi prima di riattaccare qui.
Ma un appartamento tutto per me a New York è un lusso col suo prezzo, e siamo nella città che non dorme mai. Qui tutto si fa solo per il profumo dei soldi, e se non produci non conti.
Da mezzogiorno a mezzanotte, sei giorni alla settimana. Almeno ho ottenuto libera la domenica, così mi potrò regalare per il mio compleanno una passeggiata a Manhattan.

Adoro questo posto, l'odore della 86th con la sua impressionante accozzaglia di culture che convivono a gomitate. Oggi avevo voglia di cucina indiana, ma per un Tikka Masala ci vogliono un po' di pazienza per sminuzzare le spezie e 24 ore per la marinata. Non ho nessuno dei due, e non ho nemmeno voglia di andare al ristorante e parlare con un cameriere.
Dopo l'affollamento dell'anno scorso mi fa stranissimo vivere quest'appartamento in perfetta solitudine, anche se forse oggi non mi sarebbe spiaciuto avere qualcuno che ascoltasse le mie bestemmie.

Nella maniacale preparazione del viaggio, fin dall'anno scorso avevo infilato nelle anse del fondo della valigia un vecchio telefono e un caricabatterie di riserva, oltre a una simcard bis con un backup di tutti i numeri dell'agenda.
Un'ora dopo aver scoperto di aver perso il telefono avevo già acceso e messo sotto carica il clone, se non che comunque i disagi più grandi li ha poi causati la Vodafone.
Alla faccia della tanto sbandierata qualità del servizio al cliente, hanno alquanto rotto le palle sbagliando a disabilitarmi la sim bis al posto di quella persa, cancellandomi tutti i dati dall'account del 190 fai da te come ogni volta che abbia fatto un qualsiasi cambio al contratto, azzerandomi il saldo punti one ma soprattutto perché dal sito è impossibile scrivere un'email di protesta, e a forza di rompere le palle a Sara finirò per farmi odiare anche da lei.

Se il viaggio dell'anno scorso era stato caratterizzato da una quasi totale assenza d'imprevisti, tanti piccoli incidenti quotidiani si sono invece susseguiti questa volta, un giorno dietro l'altro, come se il destino voglia assolutamente comunicarmi qualcosa che però non sono ancora riuscito a cogliere.
A partire da una dolorosa ciste nell'orecchio, agli occhiali nuovi cadutimi al suolo mentre me la incidevano e spaccatisi a metà con un solo mese di vita.
La convention di Tahiti alla quale ero diretto la cui data è stata spostata post tzunami, e la conseguente necessità di rivedere le prenotazioni dei miei voli con relative spese accessorie.
Piccoli incidenti diplomatici in loco, con la netta sensazione di esser stato spostato in un negozio di periferia perché rubavo clientela a chi non dovevo.
Piccole alterazioni costanti dell'umore che, a distanza di più di due settimane, mi hanno fatto mettere più volte in discussione i perché di quest'ennesima partenza.

Che sia per cambiarmi una prenotazione o per riferire un messaggio, passare in banca piuttosto che spedirmi un pacco, ogni giorno sto dovendo chiedere a qualcuno di farmi un piacere di qualche tipo, e la cosa mi inizia a stancare.

Può darsi che tutto ciò non sia altro che il prezzo dell'aver recentemente augurato del male a un paio di persone. Non importa che pensassi se lo meritassero, l'ho fatto credendo in ciò che dicevo.
Ciò che smuovi, nella vita, prima o poi torna indietro.